Care Sorelle, Cari Fratelli,
Eminenza Carissima, Fratelli Vescovi, Servitori delle Istituzioni Civili e Militari, Fratelli e Sorelle delle altre Confessioni cristiane e delle altre Fedi, Amiche e Amici tutti, benvenuti in questa chiesa cattedrale.
Siamo qui oggi a celebrare l’Eucaristia per un uomo che ha fatto della preghiera fiduciosa nel suo Dio la bussola, l’asse portante, la stella polare della sua esistenza. Per questo noi stamattina non possiamo fare altro, dinanzi alla Parola che abbiamo appena ascoltato, se non provare a pregare con lui, a levare la nostra voce verso il Dio di Fratel Biagio, verso il nostro Dio. Lo farò io, da vescovo, per tutti voi e insieme a voi.
Ti ringraziamo, o Padre, perché hai rivelato ai piccoli il mistero della tua presenza e del tuo amore. Ti ringraziamo per il dono che hai fatto alla città di Palermo, alla Chiesa e al mondo: il dono di un cristiano. Il dono di un fratello che ha creduto alla tua Parola fino alla fine e fino in fondo. Noi stamattina ti ringraziamo o Padre perché lo abbiamo incontrato, perché ce lo hai fatto incontrare.
La nostra vita, la vita che tu ci hai dato, è fatta di incontri, [incontri] che sono come i fili di un tessuto che a mano a mano si intreccia e costituisce, di giorno in giorno, la trama della nostra esistenza. Noi siamo, in fondo, sin dall’inizio, sin dal grembo della nostra mamma, [noi siamo] gli incontri che facciamo. E quanto è stato importante per me, quanto è stato importante per tutti noi, per ciascuno e ciascuna di noi, per tutta la Chiesa di Palermo, aver incontrato Fratel Biagio, così come – ce ne siamo accorti più che mai in questi giorni – per tutti coloro che ha raggiunto col suo cammino e col suo sguardo, testimoni semplici e potenti del suo limpido innamoramento del Vangelo da saper turbare, interrogare, invitare altri all’innamoramento, quasi come fossero letteralmente capaci di spandere un profumo, il profumo di Cristo.
Quei suoi occhi pieni di cielo, potremmo dire prendendo a prestito le parole di Francesco, del Santo che più di ogni altro lo ha ispirato, ecco, quei suoi occhi “de Te, Altissimo, portavano (e portano) significazione” (cfr FF 263). Possiamo anche noi, stamattina, o Padre, cantare con il povero di Assisi: “Laudato si mi Signore per Fratel Biagio”. A Lui hai donato il tuo Spirito. Camminava lungo le nostre strade – e continuerà ancora a farlo – per donarci la certezza del tuo sorriso, della tua accoglienza, della tua giustizia, della tua preferenza per i poveri. Il suo sorriso, il sorriso di Biagio: sommesso e splendente, chiaro e profondo, intimo e aperto. Quel sorriso, o Padre, portava il segno della tua presenza, era una luce in cui riposare, uno spazio che ci era (e ci è) donato per vedere, con gli occhi del cuore, un’immagine del tuo sorriso accogliente sul mondo. Non il sorriso di circostanza di chi come noi tante volte preferisce l’ipocrisia alla verità. Non il sorriso superficiale e bonario di chi non discerne, di chi fa passare tutto, giustifica ogni cosa. Non il sorriso di chi si schermisce per non compromettersi. Bensì il sorriso di chi comprende il faticoso travaglio del mondo, di chi è pronto a dedicare la sua cura benevola ad ogni creatura e però su tutte predilige quelle che gli altri dimenticano, quelle che la storia calpesta: i più poveri, i più fragili, quelli che si sono smarriti e – come a Biagio stesso era accaduto – sono alla ricerca di una “via altra”. Per dire loro: io sono con voi, io non vi abbandono, io sorrido sulla vostra vita e la abbraccio, la assumo, la porto in grembo. E l’ingiustizia non sarà l’ultima parola.
Perché Fratel Biagio, Padre, tu lo sai, era un lottatore. Un mite, potente lottatore. Lottava con l’arma del digiuno per tendere al massimo la sua forza umile e non violenta. Lottava così per insegnarci che è possibile combattere ogni forma di violenza e non essere violenti, portare la Croce di Cristo e la croce del povero, soffrire e donare gioia e speranza. Come ad insegnarci che i discepoli del tuo Figlio non sono sofferenti ripiegati su sé stessi in un mondo perduto, né gaudenti ignari del male, ma donne e uomini che nel dolore vivono e donano, al di là di sé stessi, la gioia della tua realtà, del tuo essere accanto a chi ha fiducia in te: “Perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro…” (Sal 15,10).
Padre santo, la vita di Fratel Biagio è stata così. Ed è stata così perché lui ha ascoltato la voce del tuo Figlio, del suo Evangelo: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 19,21). Fratel Biagio ha lasciato quello che aveva, lo ha dato ai poveri. Ha risposto di sì. Ti ha cercato, trovato e seguito. Ha risposto di sì… La sua vita è stato un canto senza fine del Salmo responsoriale di oggi: «Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene» (Sal 15,2).
Fratel Biagio aveva compreso e viveva il «Deus meus et omnia (Mio Dio e mio Tutto)» che risuonava sulle labbra di Francesco di Assisi (cfr Bartolomeo da Pisa,
De Conformitate Vitæ). Novello cantore di una povertà che è fiducia totale in te e condivisione con le vittime della “cultura dello scarto” (Papa Francesco). A Fratel Biagio hai dato il triplice dono di vivere da povero, di vivere con i poveri e di vivere per i poveri. Mentre il giovane ricco, sulla strada di Gesù di Nazareth, pensava che la vita che il Signore gli prospettava fosse inaudita, insostenibile, impossibile fino alla soglia dell’assoluta tristezza, Fratel Biagio si è fidato della risposta che il tuo Figlio diede a Pietro, sbigottito perché i ricchi non sarebbero entrati nel Regno: «Impossibile presso gli uomini. Ma a Dio tutto è possibile» (Mt 19,26). Nella vita di Biagio questa parola di Gesù si è adempiuta pienamente. Nessuno di noi avrebbe mai sospettato che nella sua esistenza apparentemente fatta di stenti, di smarrimenti, di immersione nel buio e nel nulla, risiedesse il segreto della gioia, la forza del Vangelo, il mistero del Regno. Presso Dio tutto è possibile. Presso Dio la prossimità con i poveri può diventare e diventa sorgente di vita nuova.
Ecco o Padre, abbiamo parlato dei poveri di Fratel Biagio, ma tu sai che tutti lo sentivamo vicino, perché chi di noi in verità non è povero? Siamo tutti poveri, anche quando non lo sappiamo. E incontrando Biagio ci ricordavamo di quanto ogni vita possa essere consumata e rimpicciolita dalle nostre povere false grandezze, e di quanto ogni vita può essere vibrante, se condivisa con te e con i fratelli. Fratel Biagio faceva suo un altro versetto del Salmo di oggi: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita» (Sal 15,5). L’unica eredità di cui Fratel Biagio si è appropriato è stata il dolore e la povertà dei fratelli. L’eredità che ci lascia è la ricchezza del suo esempio che riscalda il cuore e ci fa sperimentare nel nostro corpo la tua Presenza che riempiva il suo corpo, i suoi cammini, il suo respiro. Tutta la nostra vita è nelle tue mani: Fratel Biagio lo sapeva e a te si consegnava, ponendo in quelle mani tutta la sua fiducia, tutta la sua confidenza.
O Padre, com’era liberante incontrare Fratel Biagio! Era pieno, era ricco. E non aveva niente. Non gli mancava nulla. Solo i poveri, la pace e la giustizia erano le sue passioni. Vedevamo in lui una certezza che vorremmo diventasse sempre nostra, di ogni uomo e di ogni donna di buona volontà: «Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 15,11).
C’era una dolcezza nel suo essere che veniva da un Altrove, una vitalità che trovava le sue sorgenti in uno spazio inedito, nella tua invisibile presenza. Per questo Fratel Biagio era vivo. Pieno di vita anche alla fine, sul letto che era diventato la sua croce. Sempre attento a ciò che succedeva nella città terrena, sempre in movimento. Anche alla fine, quando non poteva più muovere i piedi, le gambe, ma continuava a muovere il suo cuore, sul sentiero della vita. E il sentiero della vita eri tu, o Padre. E la sorgente della gioia eri tu. La gioia che non lo ha abbandonato. Quella gioia che non è sottoposta alle vicende della salute e della fortuna. Quella gioia che dai tu. Tu che sei gioia, gioia piena, luce senza tramonto, gaudio senza fine.
O Padre, nell’abbondanza dei doni che tu elargisci ai tuoi servi, dobbiamo ringraziarti perché sentivamo piena e senza fine in Fratel Biagio quella dolcezza che a tratti sentiamo anche noi, nei nostri cuori, nella nostra preghiera, nel nostro essere Chiesa, nel nostro essere fratelli e sorelle solidali. È la dolcezza di essere amati, perdonati e consolati da te. Quante volte parlando con lui guardavamo ‘alla sua destra’… Perché eravamo sicuri che tu c’eri. Perché quando tu ci guidi, quando sei ‘alla nostra destra’, la nostra vita trova il sentiero e il nostro cuore gusta quella dolcezza «segreta» di cui parlava Chiara d’Assisi (Terza Lettera ad Agnese di Praga, in FC, 24), la dolcezza che tu riservi a chi in te crede, in te spera, te ama.
Padre buono, il nostro Fratel Biagio ha amato la sua Palermo, si è coinvolto nelle sue sofferenze e contraddizioni come il nostro don Pino Puglisi. Ha amato ogni città meta del suo lungo pellegrinaggio, ha amato ogni città del mondo. Nella Gerusalemme terrena, tu lo sai, Biagio ha dato voce al bisogno che abbiamo di te. Come fa una città a essere senza Dio? Sappiamo bene che questa parola, che questa domanda nulla ha a che vedere con una sterile nostalgia del passato. Non vuol dire – questa domanda – fare di te un vessillo, un possesso, un codice morale, una presenza invadente e legiferante, che sottrae al creato la sua libertà, il suo arbitrio. Quella libertà e quell’arbitrio che tu gli hai donato, che tu ci hai donato. Non possiamo parlare di te così, stamattina, davanti a Fratel Biagio. Il Dio che non può mancare nella città è per lui, profondamente, quel povero con cui il tuo Figlio si è identificato, quel povero che sei tu. Che sei scandalosamente, impensabilmente tu. La città degli uomini non può essere senza Dio perché non può essere senza i poveri, perché non può pensarsi e vivere senza fare dei poveri il riferimento ultimo, il punto più alto, la vedetta delle proprie mura e la base della propria strada. Per questo Fratel Biagio ha dato voce a coloro che non hanno voce, a coloro che levano il grido della disperazione, a coloro che, anche se non lo sanno, si attaccano ai beni di questo mondo per paura di cadere nel vuoto di una vita senza Dio. Sulle labbra del suo cuore risuonavano le parole di Gesù: “I poveri infatti li avete sempre con voi” (Gv 12,8).
“Come fa una città a essere senza Dio?” è la domanda che Biagio ha incessantemente incarnato non solo col suo spirito profetico, ma con la libera radicalità della sua scelta e con la concreta fattività della sua opera, ricordandoci che un cristiano che prende sul serio il Vangelo riesce davvero a cambiarla, questa città umana: ci ha provocati a trovare la nostra risposta, ognuno la propria, interrogandoci sul senso del nostro agire come individui. Il segno che lascia nel cuore della nostra Palermo è un dono grande che abbiamo ricevuto, ma anche un compito grande: la sua domanda, lo sappiamo, continuerà a provocarci intimamente e collettivamente.
Se per consolarci della perdita di questo nostro fratello – perché Fratel Biagio ormai era diventato ospite, fratello di ogni casa, era diventato ‘nostro’ – dovessimo dirci e ripeterci cosa egli ha fatto veramente, ci verrebbero alla mente le parole del profeta Michea: «Ha praticato la giustizia» (cfr Mi 6,8), ovvero: ha dato a Dio quel che è di Dio (tutto!) e ai fratelli quello che è dei fratelli (il suo amore, i suoi beni, il suo tempo, le sue forze). Con libertà e parresia!
Biagio, o Padre, ha amato la pietà. A noi appariva sempre in preghiera. A lui hai ispirato di ritirarsi nell’eremo per lunghi periodi, sull’esempio di Sant’Antonio il Grande. Avevamo l’impressione, quando ci parlava, che nello stesso tempo fosse in contatto con te. Con lui ci sembrava di essere in una situazione speciale: parlavamo con lui e sentivamo che c’eri tu. E sentivamo che c’erano tutti i fratelli e le sorelle che egli incontrava sul cammino. Davvero Biagio ha vissuto la sua vita camminando umilmente (e cioè con mitezza, dandoci la mano, stando con noi all’ultimo posto) con te, con il suo, con il nostro Dio, come ci ha ricordato oggi Michea (cfr 6,8).
Padre, noi abbiamo anche visto piangere Fratel Biagio. Fa’ che possiamo rimanere anche noi turbati perché “l’Amore non è amato” e avere lacrime come le sue. Come quelle dell’umile Frate d’Assisi che diceva: “Piango la passione del mio Signore. Per amore di lui non dovrei vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo” (FF, 1413). Biagio capiva, o Padre, che il tuo Messia, Gesù Cristo, è assetato di amore. E noi possiamo e dobbiamo aiutarlo ad estinguere questa sete che continua a gridarci dalla croce, attraverso l’amore e il servizio ai più poveri tra i poveri, che “hanno sete di Chiesa” (G. Dossetti, Piano di studi del Centro di documentazione, 1953). Di una Chiesa povera, dei poveri e per i poveri.
Accogli tra le tue braccia, o Padre, Fratel Biagio. Accoglilo come egli ci ha accolto. Sii misericordioso con lui: come egli lo è stato con noi. Capace di compassione, di amore viscerale, come te. Donaci di camminare sempre con te, di camminare assieme tra di noi, e di camminare assieme a tutti coloro che non sono con noi, che sono lontani da noi, ma sono forse più vicini a te. Sarà questo o Padre il vero sinodo, il sinodo di una Chiesa nuova, di una Palermo nuova che non finiamo di sperare, ma per la quale dobbiamo continuare a lottare, con l’intemerata spudoratezza dei tuoi ‘santi folli’, dei tuoi giullari, la stessa temerarietà, la stessa follia di Biagio che da oggi è nelle tue mani e che pure tu ci lasci accanto come seme del Regno a Palermo e nel mondo. Accanto a noi, per sempre. Amen.
Era il 2019, l’anno prima della pandemia, e le due sedi della Missione Speranza e Carità entrarono tra i luoghi delle Vie dei Tesori: arrivarono molti visitatori, in tanti non erano mai entrati negli spazi di via Archirafi, altri ignoravano esistesse un’altra sede in via Decollati. Fu una scoperta per tutti, anche per noi: il lavoro della Missione, l’esempio di Biagio Conte, la dedizione dei suoi seguaci, la delicatezza con cui si prendevano cura della cappella. I visitatori uscivano con i lucciconi agli occhi, in tanti chiedevano come poter contribuire al lavoro della comunità. L’anno successivo il covid cancellò ogni spazio a rischio contagio, il 2020 fu un’edizione difficile e non fu più possibile ritornare nelle due missioni. Oggi che Biagio Conte è scomparso, ci piace ricordare quei giorni di scoperta: la grande famiglia delle Vie dei Tesori si stringe alla sua comunità con affetto, promettendo di tornare.
“Grazie a fratel Biagio per quello che ha fatto, grazie per essere stato un uomo di rottura, grazie per essere stato un eretico del bene in una città che adesso finalmente lo onora ma che all’inizio lo guardava con diffidenza e sospetto, come tutti coloro che si macchiano del “peccato di fare” – dice il presidente della Fondazione Le Vie dei Tesori, Laura Anello - . Inserire i suoi luoghi della Missione nel circuito delle Vie dei Tesori, accanto a splendori arabo-normanni e barocchi, è stato un segnale forte per dire che quei luoghi erano anch’essi tesori, luoghi dove scoprire, conoscere, amare, aprire la mente. Un segnale per dire che per Vie dei Tesori la cosa importante non è la bellezza fine a se stessa o compiaciuta, ma la bellezza come strumento di crescita della comunità. Speriamo di potere tornare, nel suo solco, a continuare con la Missione in questo percorso”.
Pandemia, guerra, questioni economiche interessanti il pianeta, ma anche temi più squisitamente psicologici come l’età evolutiva, la coppia e la sessualità o ancora legati alla medicina nella sua connessione con la psiche, la malattia e la guarigione.
Questi i contenuti salienti della presentazione dei sei volumi di Pianeta scrittura (di cui esistente anche una versione in lingua spagnola) scritti dalla dottoressa Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta, giornalista e scrittrice di Palermo, che si terrà a Palermo sabato 11 febbraio 2023, a partire dalle ore 10 presso il sontuoso e centralissimo Hotel Tonic, sito in via Mariano Stabile.
Un momento di raffronto dell'evoluzione della pandemia, a partire dagli esordi nell'anno 2020 (con la comparazione ragionata di Pianeta Scrittura Volume II, V E VI) ma altresì di analisi dello status quo della ricerca in termini di relazioni di coppia conflittuali e sessualità (Pianeta Scrittura Volume III) , rapporti mente - cervello e conseguenze psichiche della diagnosi medica (Pianeta Scrittura Volume IV), età evolutiva e prevenzione e trattamento del disagio psicosociale.
La presentazione, a cura della dottoressa Maria Concetta Cefalù, stati generali delle donne, Maurizio Bongiovanni dirigente e biologo e Umberto Palma dirigente CONADI, partirà dalla disamina del primo Volume della serie, incentrato sull’esplorazione di una molteplicità di disturbi psichici, dal disturbi alimentari allo stress alla depressione, fino all’ultimo Volume edito nel 2022 che investe i temi della pandemia di COVID - 19, dell’inflazione, della siccità e delle morti sul lavoro.
Gli interessati alla partecipazione possono inviare la loro adesione all’indirizzo angela.ganci@gmail.com per la riserva dei posti. Ingresso gratuito fino a esaurimento posti disponibili.
Quest’anno i numeri molto alti hanno fatto comprendere che ormai la pandemia è alle spalle e si può riprendere il viaggio del festival che riunisce istituzioni pubbliche e private in un unico progetto. La Settimana delle Culture si prepara alla sua dodicesima tappa e fissa le date della prossima edizione a Palermo (e per la prima volta anche in provincia) dal 13 al 21 maggio 2023. Il bando è già scaricabile dal sito – www.settimanadelleculture.it – istituzioni, enti, associazioni, fondazioni, o anche singole persone, artisti, musicisti, possono presentare progetti di manifestazioni autofinanziate e autoprodotte, che verranno valutati dal Comitato scientifico; se accettati, si procederà a stilare un calendario che tenga conto delle date, delle esigenze e degli spazi di ogni singolo evento. Il form per la candidatura deve essere compilato entro il 15 gennaio – inserendo le specifiche richieste per mostre, spettacoli, proiezioni - e l’eventuale accettazione sarà comunicata entro il 28 febbraio.
Per le mostre, il numero di opere da esporre dovrà in ogni caso tener conto degli spazi, per gli spettacoli musicali, teatrali, proiezioni video ed eventi letterari, va inviato il progetto definitivo.
L’associazione, dal 2013 a oggi, ha realizzato undici edizioni della Settimana delle Culture, ma collabora durante l’anno a numerose altre manifestazioni, in sinergia con istituzioni ed enti pubblici e privati.
Il nuovo presidente della Settimana delle Culture, dal 1 gennaio, è Giorgio Filippone. Il nuovo direttivo è formato da Giacomo Fanale, Maurizio Giordano (segretario), Clara Monroy di Giampilieri, Maria Antonietta Spadaro, Benedetto Viola (vice presidente e tesoriere). Nel comitato scientifico dell’associazione entrano Marina Giordano e Francesca Spadafora, al fianco di Francesco Cammalleri, Enza Cilia, Massimiliano Marafon Pecoraro, Anna Maria Ruta e Bernardo Tortorici di Raffadali. E’ presidente onorario Gabriella Renier Filippone, che firmò il primo progetto della manifestazione.
Spettacolo per augurare buon 2023 ai detenuti del carcere Cerulli di Trapani giorno tre gennaio. L’iniziativa, auto prodotta e senza il sostegno di sponsor, è arrivata dall’artista Nicola Giosuè.
“Già quando ero agli esordi della mia carriera - racconta Giosuè - organizzavo eventi di beneficenza e tra i più importanti ci sono stati proprio quelli che ho sempre dedicato ai detenuti, perché penso che il carcere dovrebbe essere un percorso di riabilitazione alla vita sociale e che la civiltà di un paese si misura guardando le sue carceri e su questo siamo molto indietro in Italia. Purtroppo - continua - quando si entra in carcere per reati minori magari vivendo in un clima pesante ci si incattivisce di più anziché trovare stimoli per migliorare la propria vita. Il tre gennaio per la Casa Circondariale Ceruleo di Trapani ho scelto un repertorio allegro ma anche con spazi di riflessione sulla vita per dare buon anno ai detenuti e sperare in un futuro migliore. Ringrazio - conclude Giosuè - Il direttore della casa circondariale, Fabio Prestopino, il comandante di reparto polizia penitenziaria, Christian Astarita e il capo area educativa Giuseppe Navetta”.
Ad accompagnare Giosuè nel suo show musicale ci saranno Lorenzo Barbuto (sax), Leopoldo Imbergamo (autista ed assistente personale)e Domenica Mezzapelle (hair stylist).
Dal 1997, anno della sua fondazione, la Florence Biennale ha visto la partecipazione di più di 6.000 artisti provenienti da oltre 100 nazioni, che hanno trovato a Firenze il palcoscenico ideale per promuovere la loro arte mettendo a confronto le loro esperienze artistiche e culturali attorno ai temi di volta in volta proposti dai curatori.
Il tema della quattordicesima edizione della Florence Biennale, in programma il prossimo ottobre 2023, sarà I AM YOU. Individual and Collective Identities in Contemporary Art and Design.
Il tema è scelto dal Comitato curatoriale per la XIV edizione di Florence Biennale – Mostra internazionale di arte contemporanea e design, che si terrà alla Fortezza dal Basso di Firenze dal 14 al 22 ottobre 2023.
Si tratta di un tema incentrato sui concetti di identità individuali e collettive, nelle loro molteplici accezioni filosofiche, psicologiche, sociologiche e culturali.
Da una parte il concetto di identità può essere associato alle caratteristiche che ci distinguono dagli altri come individui unici e irripetibili (pensiamo ai nostri dati anagrafici e al nostro patrimonio genetico). Dall’altra, l’identità si lega al bisogno di appartenenza a uno o più gruppi (o comunità) che contribuisce a definire il modo in cui siamo percepiti da noi stessi e dagli altri.
L’identità individuale e quella collettiva, d’altronde, possono essere considerate come due prospettive continuamente intrecciate, che solo nel loro insieme ci permettono di capire chi siamo o chi vogliamo essere.
“Gli artisti e i designer partecipanti alla XIV Florence Biennale sono invitati a proporre la propria interpretazione dei concetti di identità individuale e collettiva, con il fine di nutrire un dialogo basato sul riconoscimento reciproco, sulla mutua comprensione e sullo scambio culturale, un dialogo orientato verso un futuro da costruire intorno a un sentire comune, lontano dagli individualismi chiusi e dalle contrapposizioni esasperate che generano conflitti e umiliazioni: un futuro basato sull’armonia, la pace e l’elevazione del genere umano, in cui la libera espressione dell’Io si affianchi alla consapevolezza che gli altri sono parte di noi e che ognuno di noi è parte del tutto”.
Carmela Rizzuti, a Firenze per partecipare all’evento, ci dice: “Sono contenta di partecipare a questa Biennale perché ogni anno tratta tematiche importanti e quest’anno il tema principale è l’individualismo e il rapporto sociale. Il mio lavoro è incentrato sulla propria immagine, dove di volta in volta affronto molte tematiche, a partire dalla figura femminile che diviene il fulcro della comunicazione, nel suo rapporto con l’esistenza, nella sua forza, nell’essere allegoria della natura e della vita stessa e nel rispecchiare le contraddizioni di oggi. Un tema ricorrente ed attuale che dovrebbe portarci ad una riflessione sulla propria esistenza e sul nostro ruolo individuale e sociale” .
PETIZIONE E MOSTRA PER LE DONNE IRANIANE
Florence Biennale, sostenendo la lotta delle donne iraniane, ha deciso di aderire alla petizione lanciata dall’artista Amir Shayesteh Tabar (insignito del Premio “Lorenzo il Magnifico” del Presidente in occasione della VII Florence Biennale del 2009) in cui legge: «Chiedo umilmente a tutti voi, cari Artisti di tutto il mondo, indipendentemente dalla nazionalità, dal sesso, dal colore, dalla religione, dalla lingua o da qualsiasi altro status, di sostenere il popolo iraniano come veri Artisti, di essere la voce del popolo indifeso. Firmando questa petizione! Il vostro lavoro e il vostro sostegno possono salvare la vita di molti in Iran e portare la libertà in Persia, patria di una delle civiltà più antiche del mondo, che porta con sé un immenso patrimonio storico e culturale».
Inoltre, in occasione della XIV Florence Biennale sarà approntato alla Fortezza uno spazio espositivo dedicato alla “Rivoluzione delle Donne”, con una selezione di opere di artiste iraniane.
Nel corso di ogni edizione della Florence Biennale, gli artisti espositori che si distinguono per le opere in concorso nelle categorie artistiche di riferimento, ricevono il Premio Internazionale “Lorenzo il Magnifico”, assegnato da una Giuria Internazionale costituita da personalità di rilievo del mondo dell’arte e della cultura.
Pianeta Scrittura VI Emergenza 2022. Pandemia, guerra, inflazione e siccità: presentato ieri presso l'hotel Tonic in via Mariano Stabile a Palermo il Volume aggiornato e dal rilevante taglio scientifico che raccoglie gli scritti dell'autrice Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta, giornalista e scrittrice di Palermo. A presentare il Volume è stata la dottoressa Maria Concetta Cefalù, Stati generali delle donne, che ha usato parole lusinghiere nei confronti dell'autrice definendola una scienziata e illustrando come gli scritti di Angela Ganci affrontino tematiche variegate ricadenti nell'ambito della prevenzione e psicoterapia cognitivo-comportamentale del disagio psichico, come i disturbi del neurosviluppo.
L'Autrice ha presentato il sopracitato lavoro presso l'hotel Tonic di Palermo dalle ore 11 alle ore 13 offrendo agli intervenuti anche un piacevolissimo coffee break e nel corso della sua relazione fornendo un esempio mirabile di attenzione ai dettagli scientifici, di semplicità di linguaggio e di umiltà umana ed espositiva, riscuotendo il pieno consenso degli intervenuti.
L'ultimo Volume, in ordine di uscita, sulla tematica dello stress da pandemia e della guerra in Ucraina è reperibile al link https://www.mondadoristore.it/Pianeta-Scrittura-Volume-VI-Angela-Ganci/eai979122142417/
Per maggiori informazioni sul testo o per un contatto diretto con l'autore è possibile inviare una mail a angela.ganci@gmail.com oppure info@angelaganci.com
Anche la “Di Carlo edizioni” di Reggio Emilia pubblica la IV ristampa di “Novelle brevi di Sicilia” | Adesso sono 6 le Case Editrici che hanno pubblicato “la più grande collezione di piccoli morceaux siciliani”
Anche la Casa Editrice “Di Carlo edizioni” di Reggio Emilia ha pubblicato la IV ristampa di “Novelle brevi di Sicilia” composta da 18 racconti siciliani. Adesso sono 6 le Case Editrici che hanno pubblicato “la più grande collezione di piccoli morceaux siciliani”, come le ebbe a definire il “Giornale di Sicilia”, storico quotidiano dell’isola, in un articolo dell’8 febbraio 2021, dedicato alla raccolta di racconti brevi dello scrittore palermitano Andrea Giostra.
Dice a tal proposito l’editore, scrittore e poeta Antonello Di Carlo: «Siamo lieti di comunicare che abbiamo pubblicato la IV ristampa di “Novelle brevi di Sicilia” dell’autore palermitano Andrea Giostra. Quando si parla di Sicilia non si può fare a meno di pensare alla stessa come a quell’immenso contenitore di meraviglie artistiche, architettoniche, geografiche, folcloristiche e culturali che solo pochi altri luoghi al mondo possono fregiarsi di avere. Infatti è cosa saputa, lapalissiana e verità scolpita nella roccia il fatto che la Trinacria (non a caso definita in molti dei miei scritti “Isola Magna”), anche per i profani rappresenta la fonte del “Sublime” dell’area mediterranea e continentale. Nonostante le tante contraddizioni e i luoghi comuni, questo è il ruolo che assume da millenni. L’autore Andrea Giostra che, ormai da un anno, posso fregiarmi di potere chiamare amico, ma che ho conosciuto solo per mera casualità e piacevole coincidenza, ben rappresenta l’intima correlazione che lo lega simbioticamente all’isola di Sicilia. Andrea Giostra, magari per molti, non sarà un “Leone di Sicilia”, o forse un maculato “Gattopardo”, ma penso che non me ne vorrà nessuno se lo paragono (restando sempre in tema di felini) a un bellissimo, ipnotico, fascinoso e ammaliante esemplare di “Persiano”. E il gatto, come è ben noto a tutti, è l’unico animale capace di rubarci l’anima e il cuore. Oggi più che mai c’è bisogno di Sicilia e ringrazio di cuore l’autore per aver contribuito a “saziare questa fame di letteratura insulare” di cui tanti lettori hanno bisogno.»
La copertina della pubblicazione di “Di Carlo Edizioni” vede in risalto un’opera del 2022 dal titolo “Lo scoglio”, realizzata con tecnica olio su tela della dimensione di 120x100 cm., della nota artista Linda Sofia Randazzo, che vive e lavora a Palermo. Il dipinto ritrae alcuni bagnanti palermitani in uno dei suggestivi scogli della Riserva di Capo Gallo, in prossimità di Mondello, mèta di villeggianti e turisti e facilmente raggiungibile dal capoluogo siciliano. Il dipinto, come le storie narrate nelle “Novelle brevi di Sicilia”, rappresenta uno splendido squarcio neorealista e contemporaneo della Palermo popolare e più vera.
Le prime 3 edizioni delle “Novelle brevi di Sicilia”, composte dagli originari 14 racconti brevi, si leggono dal 2017 gratuitamente online e il libro si può scaricare in pdf da diversi portali, magazine e pagine social. Tutte le “Novelle brevi di Sicilia” delle prime tre edizioni sono state pubblicate a puntate, in una sorta di Romanzo d’appendice tipico di fine Ottocento inizio Novecento, in diversi magazine online, sia nazionali che regionali. Tutte le Novelle si possono ascoltare, sempre gratuitamente, dal Canale YouTube e dal Canale Facebook Watch dell’autore nelle oltre 120 recite di 30 tra attrici e attori professionisti e semiprofessionisti che hanno prestato gratuitamente la loro arte recitativa nell’interpretare questi racconti siciliani brevi di Andrea Giostra.
«Una sorta di magia mi ha concesso di interpretare un personaggio ammantato di nobiltà». L’attrice Silvia Francese, 38 anni, siciliana ma ormai romana d’adozione, commenta così la sua ultima partecipazione cinematografica. È lei l’interprete di Giuseppina Zacco La Torre nell’ultima produzione cinematografica firmata da Walter Veltroni. “Ora tocca a noi” è il titolo del docufiction che racconta la tragica fine del segretario regionale del Partico comunista siciliano. La pellicola è stata presentata in anteprima come special screening alla festa del cinema di Roma. Il film andrà in onda su Rai Tre nel corso di una prima serata firmata Rai documentari. Sono ormai trascorsi quaranta anni dalla tragica mattinata del 30 aprile 1982, quando a Palermo, in piazza generale Turba, un commando di killer uccise, barbaramente, Pio La Torre e il suo autista Rosario Di Salvo.
«Un’autentica magia mi ha condotto al cospetto di questo straordinario personaggio – spiega Silvia Francese, studi in Politiche internazionali e un diploma al Centro sperimentale di cinematografia di Roma – È stata una fortunata coincidenza. A cominciare dal provino iniziale. Il giorno prima avevo scoperto di essere positiva al Covid. Ho deciso lo stesso di sottopormi alla selezione ma in videocollegamento. Ero amareggiata. Temevo di perdere questa grande opportunità. Ma è entrata in gioco una strana fatalità. Alla fine la parte era mia. Felicità iniziale che è diventata autentica ammirazione studiando il personaggio. Giuseppina Zacco La Torre è stata una donna di grande fascino e di straordinaria passione civile. La sua vita è un susseguirsi di strani accadimenti. A cominciare dal primo incontro con Pio La Torre. Una mattina dell’ottobre del 1948, uscì di casa per andare al circolo del tennis, ma stranamente decise di tornare indietro e iscriversi al Partito comunista. Ad aprire la porta della sezione del Pci palermitano fu il giovane Pio. Un autentico colpo di fulmine. Lui rispose che prima dell’iscrizione al partito avrebbe dovuto leggere un libro sull’emancipazione della donna. Prima di congedarla si offrì di accompagnarla a casa. Da quel momento non si separarono mai più».
Come è stato lavorare con Walter Veltroni regista?
«Avevo già visto e apprezzato i suoi precedenti lavori. Lavorare sul set con Veltroni è stato un continuo arricchimento. Possiede una fenomenale padronanza e conoscenza degli argomenti trattati. È riuscito a intercalare, con raffinata delicatezza, la sezione fiction tra gli inserti documentaristici, quelli tratti da congressi, comizi, interventi al Parlamento. Ma il suo merito è stato quello di non fare un racconto sulla Sicilia. Ha strutturato una narrazione che possiede un respiro più ampio, più vasto».
Perché è rimasta così affascinata da Giuseppina Zacco La Torre?
«Un aspetto mi ha colpito in particolar modo. Giuseppina proveniva dal mondo nobiliare palermitano. Nonostante queste sue origini aristocratiche è riuscita a trovare la forza e la capacità di compenetrarsi con il mondo contadino, quello che suo marito difendeva strenuamente. Ha imparato a lottare con ostinata caparbietà per il riscatto sociale degli ultimi. Una cosa assolutamente impensabile a quel tempo».
Quando è stato ucciso Pio La Torre lei non era ancora nata. Quando si è imbattuta in questa storia?
«Anche questa è una storia magica. Devo tutto a un’altra grande donna: Diana Cassarà, una mia insegnante di Bagheria. Erano gli anni Novanta, lei mi ha segnato profondamente. Insegnava educazione civica a scuola parlandoci apertamente del fenomeno mafioso e di tutte le sue spaventose conseguenze».
Vicende mafiose che hanno segnato tragicamente anche la sua famiglia. Il giornalista Mario Francese, suo nonno, è stato assassinato a Palermo da Leoluca Bagarella, la sera del 26 gennaio del 1979.
«E anche questo aspetto contribuisce ad ammantare questo mio ultimo ruolo di una strana fatalità. Mio padre mi ha educato a vivere questa storia dolorosa in maniera diversa. Lui ha reagito al suo immenso dolore per la tragica perdita del padre, parlandomene continuamente, con gioia. Nel corso degli anni, ho avvertito la figura di mio nonno come un uomo lontano ma presente. Fino a quando ho trovato un suo filmato su Youtube, altra casualità. Ho sentito per la prima volta la sua voce. Una sensazione straniante. Aveva un accento del siracusano, dove lui era nato. Nel mio immaginario lo avevo sempre percepito come un uomo di Palermo. Realizzai dunque la sua scomparsa. Con una magia tutta legata alla voce, ai timbri. Tutti aspetti che sono poi diventati il mio mestiere di attrice. Sono orgogliosa di portare il suo cognome, mi identifico nel suo agire e detesto con tutta me stessa i soprusi, quelli che lui denunciava con i suoi articoli. Visto che mio padre mi ripeteva sempre che io dovevo essere la generazione della gioia, oggi continuo in questo gioco di rimandi magici. Racconto spesso a mia figlia che ha quattro anni la storia di Mario Francese, cronista indomito e coraggioso».
Serve ancora il cinema di impegno sociale?
«Sono sicura di si. Anche se viviamo in un’epoca digitale che ha segnato la fine della partecipazione attiva. Ci si limita solo a qualche click sui social. Ma sono certa che chi vedrà questo film, sarà affascinato dai protagonisti. Uomini e donne che hanno pagato, anche con la vita, pur di tenere fede ai loro ideali».
“Ora tocca a noi”, ci spiega il titolo del film?
«Era la frase che Pio La Torre confidò all’amico Emanuela Macaluso, pochi giorni prima del suo omicidio. Ma significa anche che ora tocca a tutti noi continuare a lottare».
di Angela Ganci psicologo psicoterapeuta, giornalista scrittrice.
Conoscenza delle dinamiche del mercato del lavoro e identificazione delle competenze anche informali, da parte degli esperti di orientamento, orientamento come narrazione di Sé e come giustizia sociale, nell'ottica di uno sviluppo di carriera inteso come acquisizione di benessere e soddisfazione lavorativa e non solo ottenimento di un lavoro dignitoso.
Questi tra i contenuti emersi in occasione del Congresso "L'orientamento come strumento per raggiungere gli obiettivi dell'agenda 2030", organizzato dall'ordine degli psicologi della regione siciliana in collaborazione con l'Università degli studi di Enna "Kore" e tenutosi lo scorso 2 Dicembre a Enna presso la sede istituzionale della stessa università, in collaborazione con la Società italiana per l'orientamento.
Varie le professionalità coinvolte appartenenti al mondo accademico e a nazionalità europee con relazioni rappresentanti esperienze di matrice ispanica.
Diverse le sottolineature, dalla competenza tecnica alla competenza trasversale, dall'orientamento scolastico e professionale lungo l'arco di vita alla carriera che interessa specifiche categorie come i rifugiati politici, con tutte le problematicità del caso.
Orientamento da intendersi lungo il continuum personale-sociale nella direzione del concetto di orientamento costruttivo, attraverso lo sviluppo delle abilità di agency, empowerment e autonomia emotiva nella cornice di identità e incertezza, sulla scia degli insegnamenti di Bauman.
Centrale il concetto di carriera come azione comunitaria e di narrazione del passato attraverso strumenti variegati, insieme alla disamina delle politiche attive e passive del lavoro e degli obiettivi dell'agenda 2030 negli articoli specifici in cui si citano il diritto al lavoro dignitoso e la riduzione delle disuguaglianze sociali.
Gli interessati a esaminare i contenuti delle relazioni e i relatori intervenuti possono consultare gli allegati al presente articolo.
Si terrà Giovedì 15 Dicembre 2022, nel corso del TG delle ore 14, presso l'emittente Teleone, canale 16 del DT, la presentazione mediatica dell'evento di presentazione del libro Pianeta Scrittura Volume VI. Speciale "Emergenza 2022". Pandemia, guerra, inflazione, siccità. I Primi 170 giorni di conflitto della psicoterapeuta, scrittrice e giornalista Angela Ganci. L'evento si terrà Sabato 17 Dicembre dalle ore 11 alle ore 13 presso l'hotel tonic, sito a Palermo in via Mariano Stabile.
Di seguito alcuni elementi distintivi del libro.
Italia, Europa, intero Pianeta: questi i tre livelli attraverso i quali Pianeta Scrittura Volume VI, speciale "Emergenza 2022", pandemia, guerra, inflazione, siccità, i primi 170 giorni di conflitto della dottoressa Angela Ganci, noto e apprezzato psicologo psicoterapeuta, giornalista e scrittrice di Palermo, analizza i fenomeni sociali, economici e sanitari che stanno tuttora attraversando la nostra penisola e il mondo intero.
In particolare, come ideale prosecuzione del Volume V di Pianeta Scrittura, il presente Volume analizza i seguenti fenomeni imperanti e preoccupanti, tuttora in fieri, alcuni dei quali sotto riportati.
1. La guerra in Ucraina, analizzata fino al 170esimo giorno di conflitto
2. Il COVID 19, nelle sue evoluzioni in termini di varianti, fino alle varianti Omicron e indiana
3. Il vaiolo delle scimmie
6. Le ricadute della guerra in Ucraina sull'economia mondiale
Tali argomenti sono inclusi nella prima sezione Fatti internazionali, mentre la sezione Fatti Italiani riporta alcuni dei fatti più salienti nel panorama sociale della nostra penisola, come il fenomeno siccità e inflazione, la questione delle morti sul lavoro e le disposizioni ministeriali sull'utilizzo delle mascherine al chiuso. Intermedio il tema del salario minimo nel suo confronto tra le disposizioni governative italiane ed europee.
Chiude il Volume un'Appendice nutrita dei corsi, degli articoli e dei congressi prodotti dallo Spazio PsicoBrain, ideato e gestito dallo specialista.
Lo spazio temporale degli eventi riportati va dal Maggio all'Agosto 2022.
Il libro è, tra gli altri, disponibile al link Mondadori store https://www.mondadoristore.it/Pianeta-Scrittura-Volume-VI-Angela-Ganci/eai979122142417/, casa editrice Youcanprint.
MESSAGGIO PER L’AVVENTO
Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo
Carissimi, carissime,
nell’iniziare con voi l’itinerario del tempo di Avvento, vorrei prendere spunto dal testo dell’Orazione-colletta della I Domenica:
O Dio nostro Padre,
suscita in noi tuoi fedeli la volontà
di correre con azioni di giustizia incontro al tuo Cristo che viene,
affinché, accolti alla sua destra,
possiamo partecipare al Regno dei cieli.
Il testo muove dallo struggente desiderio dell’uomo di avere una meta verso cui incamminarsi e di sapere come farlo. Come uno scrigno racchiude un tesoro prezioso, così la Colletta tratteggia una via aurea: il Signore che viene è la meta. Egli stesso mette in moto e traccia la modalità del cammino. Essere a mensa con lui, avere comunione con lui che riserva un posto al banchetto del Regno, condividere l’amicizia conviviale con gli altri suoi commensali radunati da tutti i popoli della terra. ‘Con-camminanti’ e commensali.
L’Avvento disegna il volto di una Chiesa che coniuga strada e mensa, sinodalità e sinassi: commensali di Colui che dalla dispersione ci rende suo popolo, sua appartenenza, eredi del banchetto del Regno: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Questa è la meta posta dinnanzi a noi.
Ma Colui che è venuto è fedele, viene e verrà. Il desiderio apre alla speranza, mette ali ai piedi per intraprendere il cammino incontro a lui. Il tempo liturgico ‘forte’ dell’Avvento, è un “tempo opportuno” che concentra la presenza amante di Dio nella vita delle nostre comunità cristiane. Come nell’incontro con Bartimeo che balzato in piedi si libera della coltre di pesantezza e di scoraggiamento che lo avvolgeva (cfr Mc 10,50), il Messia veniente apre i nostri giorni alla pienezza della vita e ci fa riprendere con slancio il passo verso di lui. L’Avvento ci apre all’attesa della gioia della Parusia, della venuta gloriosa del «Figlio dell’uomo» (Mt 24,37). Ci mette in cammino. Incontro a lui che sin da ora vuole prendere dimora in noi.
L’Avvento rigenera il cuore all’originaria seduzione d’amore per il Signore. Risveglia dal torpore (cfr Rm 13,11). La memoria della prima venuta riorienta la vita. Fa riconoscere il sopraggiungere continuo del Salvatore, la sua visita nei segni sacramentali della Chiesa e nei segni messianici che costellano silenziosamente il quotidiano di questo nostro mondo: ogni sofferenza condivisa, ogni oppressione riscattata, ogni vita consolata, ogni giustizia ristabilita, ogni arma deposta, ogni dialogo riaperto, ogni muro abbattuto.
Avvento è tempo di sguardo proteso verso il Veniente. Noi che lo riconosciamo nel suo Natale di condivisione della condizione umana, lo attendiamo glorioso nel giorno della Parusia. Mentre facciamo memoria della sua venuta nell’umiltà della condizione umana (il Natale), nella luce della sua ignominiosa morte e della sua fulgida risurrezione (la Pasqua), lo attendiamo Veniente nella gloria (la Parusia). Il tempo di Avvento ci dona uno sguardo vigilante e contemplativo. Ci fa fissare gli occhi su Gesù, per convertirci alla sua Signoria in noi e nella giornata umana che condividiamo nella comunità discepolare e con gli altri uomini e donne della casa comune che è la Terra.
La Chiesa in cammino nel tempo di Avvento è contemplativa, desidera essere raggiunta dallo sguardo del Crocifisso risorto, il Veniente. Entriamo insieme nel tempo di Avvento per essere comunità che lo riconoscono nel suo continuo venire in ogni uomo e in ogni donna, e in tutti quelli che, come Lui, hanno conosciuto l’umiliazione e la sofferenza: tutti i piccoli, tutte le donne e gli uomini vittime di creature che hanno distolto lo sguardo da Dio e sono caduti, ammaliati dal potere, nell’illusorio delirio di onnipotenza.
Etty Hillesum nel suo Diario annotava: «[…] questo capita a due passi da casa mia. So quanto la gente è agitata, conosco il grande dolore umano che si accumula e si accumula, la persecuzione e l’oppressione, l’odio impotente e il sadismo: so che tutte queste cose esistono, e continuo a guardare bene in faccia ogni pezzetto di realtà nemica. Eppure, in un momento di abbandono, io mi ritrovo sul petto nudo della vita e le sue braccia mi circondano così dolci e protettive, e il battito del suo cuore non so ancora descriverlo: così lento e regolare e così dolce, quasi smorzato, ma così fedele, come se non dovesse arrestarsi mai, e anche così buono e misericordioso. Io sento la vita in questo modo, né credo che una guerra, o altre insensate barbarie umane, potranno cambiarvi qualcosa» (30 maggio 1942, p. 568).
In questo tempo liturgico, lo Spirito di Dio amante degli uomini fino a farsi uomo tra gli uomini, rigenera in noi nuove energie, nuove visioni (cfr Is 2,1). Le Scritture lo confermano: «Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio”. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa”» (Is 35,2b-4a.5-6).
“Vieni, Signore Gesù!”, accogli il nostro grido in questo tempo d’Avvento. Custodisci la tua Chiesa nella vigile e operosa attesa.
«Beato il popolo iniziato alla tua lode che cammina alla luce del tuo volto, tutto il giorno esulta nel tuo Nome, si gloria per la tua giustizia, Signore. Sei tu lo splendore della nostra forza, nel tuo amore esalti il nostro vigore, sì, del Signore è il nostro scudo, il nostro Re Messia del Santo di Israele» (Sal 89/88,16-19).
I Domenica di Avvento
Palermo, 27 novembre 2022
Martedì 15 novembre 2022, a partire dalle ore 12,05, ritorna l’appuntamento con Radio Time e la quinta puntata della “Rubrica sui crimini seriali” ideata dalla dottoressa Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta, giornalista e scrittrice di Palermo, e interamente dedicata al caso Cianciulli, la "saponificatrice di Correggio". In occasione della diretta saranno presentati i Volumi editi dello specialista "Assassine" e "San Salvador, storia di un omicidio". Per la diretta è possibile collegarsi al link https://www.radiotime.it/. Possibilità di porre domande in diretta allo specialista attraverso il numero WhatsApp dedicato 338/6252521.
Di seguito una breve anticipazione dei contenuti.
Risale al 2010 la celebre pubblicazione di Mastronardi e Sanvitale dal titolo Leonarda Cianciulli. La saponificatrice, che segue fedelmente le vicende di cronaca legate a uno dei casi giudiziari più sconvolgenti d’Italia, coinvolgenti una “Donna qualsiasi, affabile, amichevole, insospettabile nel suo reale volto di crudeltà, sadismo e sete di profitto e potere”.
Ripercorrendo la storia evolutiva della Cianciulli, si notano subito delle problematiche di fondo che hanno segnato la sua età adulta e aiutano a spiegare il virare del comportamento della donna lungo un versante criminale.
Leonarda nasce a Montella, piccolo comune campano, il 18 aprile 1893: considerata “frutto indesiderato” di una violenza carnale, “colpa della vergogna”, perciò odiata dalla madre fin dal primo giorno del suo concepimento, passerà l’intera vita alla ricerca di un amore da ricevere (e da donare).
La sua è un’infanzia triste, segnata da un bisogno d’amore vorace: nel celebre Memoriale “Le confessioni di un’anima amareggiata”, scritto durante gli anni del carcere, Leonarda descriverà benissimo tutto il desiderio negato d’amore, e i tentativi di suicidio mai riusciti, al fine di porre termine all’infelicità percepita.
Brutta nell’aspetto, è apprezzata per la simpatia, al punto da circondarsi da amiche, in cerca di consigli e colme di problematicità, che la Cianciulli avrebbe, a sua detta, risolto.
Ecco che si profila il volto della futura Serial Killer, amabile e subdola, servizievole e prodiga di attenzioni per i più sfortunati, alla ricerca del profitto sotto un apparente volto di normalità e bontà d’animo, come nella migliore tradizione criminale.
Una donna all’apparenza buona, materna, una mamma che avrà in tutto diciassette gravidanze con tre parti prematuri, e solo quattro figli sopravvissuti. Una donna-mamma tormentata da una madre che le getta una maledizione terribile: avrebbe perso tutti i figli, paura a cui la Cianciulli risponderà al meglio delle sue “strategie”.
Ecco che, per salvare i suoi figli, le appare in soccorso la Madonna, con un bambino nero fra le braccia, che le dice che, per allontanare la disgrazia dai suoi figli, deve sacrificare altrettante vittime umane.
Vittime umane con tre nomi precisi: Faustina Setti, Francesca Soavi e Virginia Cacioppo, donne fragili, alla ricerca di amore e disposte a tutto, che cadranno nella Tela tessuta abilmente dalla Cianciulli.
Tralasciando il Modus Operandi, di per sé particolarmente macabro, che il lettore potrà appurare facilmente dalle cronache dell’epoca, attraverso un processo travagliato, pieno di colpi di scena e cambiamenti di versione, ecco il nodo da sciogliere: la Cianciulli ha commesso i delitti coscientemente o è solamente “pazza”?
Insomma, l’assassina ha ucciso le sue vittime in piena lucidità per appropriarsi dei loro beni? Ovvero è inferma di mente e credeva davvero di pagare con il sangue di persone innocenti la vita di suo figlio?
Due le versioni degli esperti: secondo la prima perizia psichiatrica in ordine di deposizione, la donna era resa non imputabile, quindi non punibile, da un’esasperazione dell’istinto materno ed era effettivamente convinta di salvare i figli immolando al loro posto altrettanti innocenti.
Prendendo spunto, però, da un’ulteriore perizia, la Corte di Assise di Reggio Emilia stabilisce per la Cianciulli la semi-infermità di mente, condannandola alla pena complessiva di anni 30 di reclusione, alle spese processuali comprese quelle di mantenimento in carcere e al risarcimento dei danni verso le parti civili.
Morirà a 78 anni nel manicomio criminale di Pozzuoli, il 15 ottobre del 1970, stroncata da un’apoplessia celebrale. Viene sepolta in una fossa comune della città campana.
Se ancora il dubbio persiste nell’opinione pubblica e questa vicenda non smette di fare rabbrividire per la sua atrocità, riecheggiano ancora nelle orecchie di quanti conoscono la vicenda le parole della stessa Cianciulli che, al di là di ogni controversia processuale, fanno ragionare sul “prezzo” dell’amore: “Non ho ucciso per odio o per avidità, ma solo per amore di madre”.
Politica, riforme, innovazioni, inchieste, truffe: temi di spiccato respiro sociale che interessano tutti i cittadini, in particolare alla luce della situazione politica italiana odierna caratterizzata dalla recente nuova nomina del Presidente del Consiglio.
Per informare i cittadini e favorire un dibattito aperto su temi socio-politici di spicco come il reddito di cittadinanza e le "truffe" relative, la riforma della giustizia, ma anche le disposizioni in materia anti-Covid per sanità e scuola, il blog della giornalista e scrittrice Angela Ganci si offre oggi ai lettori quale strumento utile e aggiornato.
Per esemplificare si fornisce il link di due recentissimi Forum dedicati ai "furbetti" del Reddito di Cittadinanza ,http://www.artepsichesocieta.it/ragusa-ancora-sui-furbetti-del-rdc/, e alle proposte politiche oggetto di discussione nel consiglio dei ministri del 31 Ottobre 2022, http://www.artepsichesocieta.it/governo-meloni-domani-cdm-su-giustizia-e-stop-obbligo-vaccinale/.
Il link di collegamento al Blog della giornalista è il seguente www.artepsichesocieta.it , è possibile inoltre contattare lo specialista attraverso la mail dedicata angela.ganci@gmail.com.
di Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta giornalista scrittrice
Un interessante spaccato sulla vita detentiva, uno sguardo attento e insieme discreto, spontaneo, naturale, teso a cogliere la vita all'interno delle mura del carcere nel suo naturale svolgersi quotidiano, il carcere inteso come “contenitore di persone, di lavoratori, infatti tra le persone fotografate sono da segnalare lavoratori manutentori”,
Questo lo spirito della mostra ‘U Ciarduni” di Michele Di Leonardo e Salvo Valenti, reportage fotografico sul mondo delle carceri palermitane, in mostra presso il prestigioso spazio dei cantieri culturali alla Zisa.
L'inaugurazione della mostra, al Centro Internazionale di Fotografia “Letizia Battaglia“ dei Cantieri Culturali alla Zisa, si è tenuta il 15 ottobre scorso e proseguirà fino al 12 Novembre, senza notizia a oggi di una possibile proroga, per un'esposizione di oltre 70 scatti tratti dal volume omonimo edito da Kalòs, che racconta le atmosfere e la quotidianità del carcere Ucciardone, nel dialetto palermitano conosciuto come ‘U Ciarduni. Il motivo presto detto, “prima della nascita del carcere in epoca borbonica, cresceva una piantagione di cardoni, di carciofi. Il riferimento, più di uno, è visibile in una scultura in ferro all’interno della struttura”.
Scatti naturali, in cui, secondo Valenti, “è difficile non vedere l’Essere umano, la Risorsa umana, piuttosto che il delinquente, il criminale, o la persona da condannare o temere al punto che si ha l'impressione di trovarsi di fronte a un gruppo di sorridenti uomini di mezza età, che hanno accettato pienamente di essere ripresi in foto, o all'interno di un centro anziani, a seconda dell'età. La nostra intenzione di fotografi rispetto all’Uomo e alla sua quotidianità è di cogliere l’attimo, il carpe diem, insomma il Momento".
Un'aria di normalità, quindi, che si respira dalle immagini dei detenuti lavoratori, come manutentori, o di coloro che giocano a carte, scherzando, o passeggiano con disinvoltura approfittando delle celle aperte.
Una normalità per molti versi anomala in una struttura costrittiva per definizione dove imperano “muri di cinta, sbarre, chiavi, lunghi corridoi, suoni che echeggiano, radio accese qua e là, televisori ad alto volume, file di celle con tanti uomini e donne dentro". E poi, sovrano, il concetto di tempo, tempo indefinito, fermo, infinito, segnato, sempre secondo Valenti, "dai panni stesi sulle sbarre che ricordo così da sempre o dalla cella come ambiente statico".
Un tempo immortalato dal bianco e nero, come scelta stilistica, in grado di trasmettere pathos, anche perchè “la fotografia nasce in bianco e nero”.
Un tempo difficile scontato da uomini e donne che "se fossero cresciuti in una cultura di legalità non avrebbero ricorso alla violenza, anche di fronte a un temperamento non particolarmente tranquillo. Ci vuole fortuna a nascere e, secondo me, è l’ambiente che ti porta a delinquere".
La mostra "Ucciardone – 'U Ciarduni" è visitabile al Centro Internazionale di fotografia a Palermo dal 15 ottobre al 12 novembre 2022 dalle 10.00 alle 18.00 (da martedì a domenica). Ingresso gratuito, con info all'indirizzo info@collettivof.com o ai numeri 320/3152482 e 328/4545144.
Un evento rivolto a ogni età, con la gradita presenza di giovani e scolaresche, rendono noto gli autori. In particolare, nei giorni 28 Ottobre e 9 Novembre, sarà presente, in qualità di visitatore, il Liceo statale "Regina Margherita" di Palermo, all’insegna di una conoscenza umana e culturale che sia in grado di sensibilizzare e informare adeguatamente le future generazioni.
di Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta, giornalista, scrittrice.
Il Colibrì per la regia di Francesca Archibugi con Pierfrancesco Favino nel ruolo del protagonista Marco Carrera, Nanni Moretti, nei panni dello psichiatra Dante Carradori, e Berenice Bejo in quelli di Luisa Lattes, personaggio importantissimo nella trama, amore incompiuto di Favino.
Film di genere drammatico, uscito nelle sale cinematografiche il 14 ottobre 2022, di apertura della 17esima Festa del Cinema di Roma, distribuito da 01 Distribution, in cima al box office nel primo weekend di proiezione.
Questi i tratti biografici della pellicola tratta dal romanzo "Il Colibrì" dello scrittore fiorentino Sandro Veronesi, vincitore del Premio Strega 2020, che ripercorre la vita di Marco Carrera, un Favino sfavillante quanto oscurante gli altri attori, secondo molta critica, medico e padre di famiglia, la cui esistenza scorre su binari apparentemente tranquilli, mentre in realtà si tratta di una vita irta di percorsi paralleli, coincidenze mancate, occasioni non colte e strade non prese. Ecco sinteticamente le vicende: la moglie Marina tradisce il marito Marco compulsivamente e nel contempo lo accusa di intrattenere una relazione con Luisa Lattes, una donna italofrancese conosciuta al mare in gioventù, con cui Marco intrattiene una relazione affettiva intensa. In effetti da sempre Marco intrattiene con Luisa un rapporto mai consumato, di quelli che la realtà non può contaminare, ma che alimentano un desiderio ostinato, una passione segreta. Completano il quadro familiare la figlia di Marco e Marina, Adele, con il suo "filo pericoloso e invisibile su cui inciampano tutti, e che ha solo lei", diagnosticata con un disturbo ossessivo-allucinatorio, il fratello di Marco, Giacomo, "troppo basso per i suoi anni", il ricordo della sorella Irene morta a soli ventiquattro anni, che vediamo urlare a squarciagola contro una famiglia che non sembra comprenderla, e due genitori eternamente conflittuali, ma incapaci di vivere separati. In mezzo a loro Marco vive e si comporta come un colibrì: sbatte forsennatamente le ali per rimanere fermo nello stesso posto, come dirà a lui la stessa Luisa su uno scenario frastagliato di rocce e schiume, mentre intorno il mondo e i rapporti inevitabilmente cambiano. Il film si avvale di un cast ben nutrito e va sottolineata l'abilità filmica della regista, in particolare nella misura in cui tutti i bambini in scena riescono a essere naturali e credibili, data l'abilità della regista di lasciare cinematograficamente liberi i minori in scena.
I punti di forza del film risultano, secondo la critica, probabilmente la combinazione del successo del romanzo di Veronesi e del suo protagonista cinematografico Pierfrancesco Favino, interprete di Marco Carrera, chiamato sin da bambino “il colibrì”.
Il Colibrì, un film che punta molto sul concetto di resilienza, infatti Marco, con la sua strenua resistenza, è capace di rimanere fermo e di non farsi trascinare dalla corrente. Nel film, attraverso salti temporali, si concentra il tema della ricerca della felicità, con la metafora del volo del colibrì che, con il suo battito di ali veloce, resta sospeso in aria sfiorando i petali, senza mai appoggiarsi.
Nel caso della metafora utilizzata da Veronesi, il protagonista, nonostante i numerosi drammi, riesce a parare i colpi della vita, rimanendo ancorato alla speranza.
Ciò che può sembrare insostenibile, come il dolore più profondo, viene, infatti, compensato dalle gioie della vita, che a volte si trovano nelle piccole cose, negli oggetti, negli affetti. Questo per quanto concerne il significato profondo di un film sulla voglia di farcela, sennonché Archibugi nella sua interpretazione del romanzo coglie solo a tratti questa poetica, concentrandosi principalmente piuttosto sui dialoghi urlati, sulla malinconia e sullo struggimento del protagonista e sulle scenografie che sono, anche in questo film, un elemento caratterizzante dello stile della regista.
Il Colibrì è un film che ha creato, tra il pubblico, grandi aspettative, anche solo per l’ottimo cast, capitanato da un Pierfrancesco Favino che in questa occasione dimostra la sua professionalità. Archibugi confeziona un film che dovrebbe essere corale, ma che in realtà celebra esclusivamente la figura del protagonista, in modo quasi cannibalici, in un susseguirsi di salti temporali talmente veloci che in alcuni punti sembrano sconnessi tra di loro. Berenice Bejo, che interpreta il vero amore del protagonista, quello ideale e profondo, deve fronteggiare un personaggio poco strutturato, mentre il focus principale è sempre su relazioni urlate e melodrammatiche. Sicuramente un adattamento non facile quello del romanzo di Sandro Veronesi, ma che questo film non rende appieno proprio perché tende ad esasperare i sentimenti, come il senso di colpa per la morte di Irene scagliato contro Giacomo, in una colluttazione furiosa tra i due fratelli, o il tormento per un amore complicato, poiché "non deve farsi male nessuno", lasciando poco spazio alla poesia.
Marco Carrera, un uomo per tutti “buono”, ingenuo, ma in fin dei conti mediocre, incapace di accettare le svolte della vita e ancorato a un immobilismo del tutto privo di fondamento, esclusivamente abitudinario, che nemmeno si accorge degli innumerevoli tradimenti della moglie, pensando addirittura di recuperare un rapporto ormai alla deriva, per un'interpretazione assolutizzante di Pierfrancesco Favino, che "arriva a far suo in modo così forte questo Marco Carrera da cannibalizzare il film, mangiando pezzo per pezzo tutti i suoi colleghi in scena, in particolar modo quell’universo femminile che nel romanzo fungeva da contrappunto, e che qui appare quasi solo di contorno, impossibilitato a trovare scampo nel dominio di Favino" (per maggiori approfondimenti si consulti il link https://quinlan.it/2022/10/13/il-colibri/ ).
Il Colibrì, in definitiva, come storia della forza ancestrale della vita, della strenua lotta di ciascuno di noi per resistere a ciò che talvolta sembra insostenibile, utilizzando le potenti armi dell'illusione, della felicità, dell'allegria.